uti videtur, epos ad Caesarem1. E dello stesso tempo è probabilmente il Marius, e scritto colla stessa mira di propiziarsi Cesare affine al guerriero Arpinate e continuatore della sua opera politica. Ahimè, scrivendo in versi, non par troppo necessario, come seguire verità, così secondare coscienza! Ma allora, i versi vengono (nulla più facile); la poesia non viene. E Cicerone non era poeta: egli scambiava, sbaglio frequente in tutti i tempi e frequentissimo nei nostri, comune a tutti i popoli ma comunissimo nei popoli latini, la retorica con la poesia; arti, se pure arte si può chiamare la poesia, che hanno certi strumenti uguali, ma dissimigliantissimo il fine, poichè l’una vuol convincere e persuadere di cose e a cose cui l’anima si suppone contraria e repugnante, l’altra non vuole se non scoprire all’anima ciò che ella ha in sè e non sa di avere. Ma l’una per ghermire l’assenso e l’altra per snebbiare gli occhi, adoperano tropi e figure, e pure in modo assai diverso, poichè facendo tutte e due luce maggiore che la solita, questa l’usa a chiarire, quella ad abbagliare. Cicerone dunque fu poeta mediocre, ossia non poeta (mediocribus esse poetis con quel che segue), mentre era oratore sommo: Ciceronem eloquentia sua in carminibus destituit2. Giudicò per altro bene di poesia, se non bene poetò? Anche per questo punto non gli si può dar lode
- ↑ ad Q. fratr. III i. 11, III ix e altrove.
- ↑ Sen. exc. controv. iii praef. 8. Vedi poi Sen. de ira iii 37, 5, Tac. dial. 21. Iuv. x 124: «O fortunatam natam me consule Romam» (fr. viii) Antoni gladios potuit contemnere si sic Omnia dixisset. Mart. II lxxxix 2: Carmina quod scribis Musis et Apolline nullo Laudari debes: hoc Ciceronis habes.