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la poesia epica in roma 265

fuso l’una e le altre in un solo poema di ventiquattro libri? Nulla se ne sa. Anche più oscuro è Gannio, citato tre volte da Prisciano per l’incertezza della prosodia di ador.

Sin dai suoi giovini anni scrisse versi M. Tullio Cicerone (648-711). Di lui giovinetto si conservava anzi un poemation in tetrametri intitolato Pontios Glaucos1. Admodum adulescentulus, dice egli stesso2, tradusse i Φαινόμενα di Arato; più tardi i Προγνωστικά del medesimo. E via via compose i poemetti, Halcyon o Halcyones, Uxorius, Limon (il prato, di cui l’argomento era critico-letterario), un’elegia (Thalia maesta?), epigrammi3. Come di Aeschylo, Sophocle, Euripide e altri, così tradusse, citando, luoghi di Omero: otiosi convertimus4. Nel 694 probabilmente componeva i tre libri del suo consolato, li componeva, ne quod, come egli stesso scriveva, genus a me ipso laudis meae praetermittatur5. Il quale fine, da lui non dissimulato, fece spiacere a molti i suoi versi6. Intorno al 699 componeva, pure in tre libri, un altro poema de temporibus meis7. Nel 700 scriveva poema ad Caesarem come vincitore della Britannia, suave, mihi quidem

  1. Plut. Cic. 2.
  2. nat. deor. II 204.
  3. Iul. Capit. Gordian. iii 2. Suet. vita Ter. p. 34, 2 R. Plin. NH. praef. 24, Gell. praef. 6. Serv. in Buc. i 57. Plin. ep. VII iv 3. Quint. VIII vi 73.
  4. de div. II xxx 63
  5. ad Att. I xix 10.
  6. Quint. XI i 24 in carminibus utinam pepercisset, quae non desierunt carpere maligni.
  7. ad fam. I ix 23, ad Q. fratr. III i 24, II xiii 2, XV 5. ad Att. IV viii b 3.