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la poesia epica in roma | 263 |
suo tempo rifuggisse da quella salubre lettura1. Ma nessuno gli fece così grande onore, come Vergilio con la sua allegoria di guerrieri musici; nessuno lo dipinse meglio che Quintiliano, col suo gusto squisito, paragonandolo a un bosco sacro, in cui le maestose antiche quercie sono più venerabili che ‘appariscenti2. Del bosco sacro a noi non resta, cui adoriamo, se non qualche ceppo e molti infiniti rampolli, trapiantati qua e là e cresciuti ad alberi bellissimi come quelli che meglio furono educati dalle mani diligenti dei coltivatori. Ma come non rimpiangere la solenne penombra della selva nativa e quell’odore di antico e quel murmure di sogno?
VII.
E quanti imitatori e continuatori ebbe egli! Di che tempo fu quell’Hostio, che scrisse almeno due Annales della guerra Histrica? E tale guerra fu quella già cantata da Ennio, del 576, o l’altra del 629? Prisciano viene a chiamare vetustissimum questo poeta3. La parola non ci licenzia a porlo poco dopo Ennio? Ma come e perchè volle trattare lo stesso argomento di Ennio? Properzio4 lo chiama «dotto». Volle egli allungare e sdoppiare il libro di Ennio, condendolo di maggiore dottrina? Libero è il campo all’imaginazione. Poco prima o