gula, uncta carina, e altri. Più difficile era con la poco malleabile lingua latina foggiare i flessibili composti; eppure anche in ciò Ennio riuscì ardito e geniale, e, che noi sappiamo, fornì alla poesia questi: bipatens, altisonus, altivolans, suaviloquens, altitonans, velivolus, dentifaber, laetificum, dulcifer, frugifera, e altri. Che se nell’uso dei composti fu preceduto da Naevio, che ha bicorpores, arquitenens, silvicolae, egli fu il primo a introdurre i patronimici Greci, di cui abbiamo un esempio in Aeacidas Burrus. Più latino è l’altro, Saturnius, mentre Livio, che pure ha Laertie, e Naevio dicono sempre con goffa lungaggine Saturni filie, Saturni filia, Atlantis filiam, filius Latonas, Monetas filia il primo; Iovis filiae, filii Terras, Cereris puer il secondo. Nè è da tralasciare che con Ennio cominciano le variazioni di forma, di cui tanto poi si usò per esprimere la paternità, che con filius e il genitivo riesce spesso impossibile nel metro dattilico: egli dice Eurudica prognata, Assaraco natus, Saturno create. Non meno felicemente derivò Ennio da Omero formule poetiche. Eccone esempi: recessit in infera noctis οἴχεθ´ὑπὸ ζόφον (γ 335); Cum superum lumen nox intempesta teneret = νὺξ δὲ μάλα δνοφερή κατέχ᾽ οὐρανόν (ν 269 e spesso), Bellum aequis manibus nox intempesta diremit, νὺξ ἐλθοῦσα διακρινέει μένος xἀνδρῶν; e altre molte, come fretus manus vi, viribus fretus, virtutis egentem, vino domiti, laetanteis vino, somno revinctus. E come Omero, Ennio la sua formula armoniosa ripete, quando gli occorre quatit ungula terram, concutit ungula terram, Labitur uncta carina, Romana iuventus, che troverete ripetute, più quelle accennate come Olli respondit e