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la poesia epica in roma 251

corde suo divum pater atque hominum rex Effatur. Un concilio degli dei? perchè? quando? Parrà invece al suo posto se lo connettiamo al prologo del poema, alla fuga da Ilio, Cum veter occubuit Priamus sub Marte Pelasgo.

Questo primo gruppo, adunque, questa Romais, trattava l’origine di Roma dalla distruzione di Ilio, e la sua vittoria di poi contro i vincitori d’allora. Ennio restava, in certo modo, nella regione del mito, illuminata dalla poesia: dove «una serenità si stende senza nuvole e vi scorre una candida luce», come nell’Olympo. Invocava a principio le Muse. Poi raccontava un sogno. Omero nel sogno gli appare. Omero sparge salse lagrime. La sua essenza vitale (anima) soffre, poichè è in balìa d’una forza, che, per purificarla, la tramuta da corpo a corpo. Ora essa è in lui, Ennio, figlio di re. Canti, secondo l’antico costume, canti essa anima nel corpo italico, ciò che avvenne dopo quelle mirabili avventure che ella già cantò quando era nel corpo greco. Canti Ennio i paralipomeni d’Omero! dopo la distruzione di Troia, la nascita di Roma; dopo la vittoria dell’Aeacide sui Troiani, la vittoria dei Troiani sull’Aeacide! E il simulacro di Omero greco (già in Ennio Vergilio trovava la differenza tra il simulacro e l’anima: Omero è in Ennio: eppure a lui apparisce come un altro) svanisce e l’Omero italico si volge agli ἄνδρες divenuti cives e comincia col tono sublime di chi ha dentro di sè l’ispi razione del grande poeta, e avanti sè le mirabili storie della grande città,

                    est operae, cognoscite, cives.