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mente lo scriba dal poeta, e le naeniae dal poema. Era quell’opera un idolo, rozzo, ma venerabile, di legno: opus aliquod Daedali1; ma la scuola onorò l’idolo a lungo. Ai fanciulli fa bene l’antico: la testimonianza che tutto non comincia con loro, reca il conforto che tutto con loro non morrà. L’infanzia ama la voce grave e memore dei vecchi. Il presente non ha autorità su loro, perchè il presente sono essi stessi. Così dunque la scuola Romana venerò il rozzo idolo annerito, come il popolo e i padri, che vissero al suo tempo, onorarono lo scriba, l’istrione che aveva narrato, sulla scorta dell’aedo greco, le avventure di quell’Ulisse, che forse era il padre di Roma; lo onorarono, commettendogli di placare la dea avversaria di Roma con un suo canto di vergini: poi, quando le ventisette vergini ebbero ottenuto con quel canto deprecatorio la disfatta di Asdrubale e la salvezza della città dalle armi unite dei due terribili fratelli, onorarono i prima disprezzati scribi e istrioni. L’arte poetica, o il mestiero di poeta, come si hanno a interpretare le parole di Catone, non cominciava allora ma da allora tornava a essere in onore.

IV.

Odysseo non era il solo eroe di cui si novellasse nel lido occidentale d’Italia. Egli ebbe, secondo ciò che è già nella Theogonia, da Circe, Latino con Agrio; «Agrio e Latino incolpevole e forte... I quali ben molto lontano nel seno delle isole sacre Di tutti

  1. Cic. Brut. xviii 71: et Odyssia latina est sic tamquam opus aliquod Daedali.