|
la poesia epica in roma |
215 |
Dei due fratelli è questa oscura testimonianza in Servio1: Amata enim duos filios voluntate patris Aeneae spondentes... interemit... hos alii caecatos a matre tradunt, postquam amisso Turno Lavinia Aeneae iuncta est. Or qui mi pare sia una mirabile concordanza con un passo dell’Iliade dei più dramatici2. Helena parla, dopo avere indicato i principali eroi degli Achei: «Or bensì vedo tutti gli altri Achei dagli occhi fulgidi, Cui bene conoscerei e il nome ne direi; Ma i due non posso vedere ordinatori di genti Castore domator di cavalli e il buono al pugno Polydeuce, Miei proprii fratelli, che una madre partorì con me. O non vennero da Lacedaemone amabile? O qui bensì vollero venire nelle navi che passano il mare, Ma poi non vogliono entrare nella battaglia dei forti, Gli obbrobrii temendo e i biasimi molti, che io ho? — Così diceva, ma quelli già teneva la nutrice terra Là in Lacedaemone, nella cara patria terra». Non è con questi versi accennato un effetto tragico nella sua famiglia, e appunto ne’ suoi fieri fratelli, della fuga di Helena? E un tragico effetto segue pure nelle nozze di Lavinia con lo «straniero»; perchè il punto capitale della somiglianza è appunto nel farsi Lavinia moglie a Enea; donde la guerra. Che Enea resti in Italia con Lavinia mentre Paride torna in Asia con Helena, si spiega con la sopraposizione del mito che i Latini conservavano da tempi antichissimi, sul mito che fu poi importato dai Greci. Che lo possedessero da loro, si fa probabile dal trovarlo ripe-
- ↑ Ad Aen. vii 51.
- ↑ Γ 234-44.