ἀρνύμενος, e ci riusciva e tornava, ultimo sì ma ricco d’esperienze e di tesori, in patria. Di loro si chiedeva sopra tutti: nell’Odyssea, oltre il νόστος λυγρός degli Achei, canzone, per così dire, collettiva e voluta dall’economia del poema, oltre l’inganno di Hephaesto, che è come poesia di danza, si cantano xλέα di soli due forti, di Achille e di Odysseo, e così proprie di loro, che dell’eroe della μῆνις si canta un νεῖκος, e del πτολίπορθος, del πολύμητις e quanti altri epiteti sono a significare questa sua stessa qualità, si celebra il δόλος del cavallo di legno. Quando e come le oimai di questi due eroi conversero in sè tutto l’interesse degli uditori, sì da involgere intorno al punto capitale e patetico delle loro azioni e vicende tutta la poesia della guerra d’Ilio e del ritorno da Ilio? Chè della saga di Achille il perno è la morte immatura di lui invincibile, che è fatalmente condotta dalla μῆνις, la quale è provocata dal più immeritato oltraggio di Agamemnon e degli Achei, e produce l’ira contro Hector e i Troiani, non tanto a loro quanto a lui funesta; e di quella di Odysseo il senso non è tanto nella distruzione di Ilio, di cui egli è l’autore principale, quanto nella sventura che a lui ne séguita (la virtù all’uno e all’altro porta male), e dalla quale egli pur riesce a salvarsi. Si comprende, mi pare, come questa contradizione «dolorosa» nel loro destino, tra ciò che avrebbe dovuto essere e ciò che fu, attraesse singolarmente aedi e uditori; ma quando e come si formarono una primitiva Μῆνις Ἀχιλλέως e una primitiva Ὀδύσσεια? Non è da me parlarne nè questo il luogo: Ὅμηρος fu l’aedo divino al quale gli antichi attribuirono tutti e due i poemi, o almeno