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la poesia epica in roma | 203 |
risuoni»1. Ora certo per la sua vita errabonda, specialmente per il mare che è comodo ponte tra terre molto diverse e uomini assai stranieri, gli era facile recare il nuovo di fuori; pure, per il grande numero di tali aedi erranti come lui, gli era forza portare del nuovo anche di suo, trasformando e allargando il vecchio: chè inventare dal nulla non sarebbe stato nè possibile a lui nè agli uditori dilettevole, chè gli uditori vogliono udire particolari bensì nuovi, ma di fatti noti e intorno a noti eroi. Perciò sopra tutto gli aedi recavano novità intorno a quel grande avvenimento, che non fu mai, come la meteora dei deserti, vicino a chi lo vide, e che forse, come quella meteora dipinge nel cielo una mirabile scena della terra, non fu se non un dramma del cielo veduto nella terra, con un’illusione così forte che il riflesso celeste si solidificò, per così dire, in una città vera e sventurata e s’incarnò in guerrieri e donne che veramente furono e vissero la loro vita d’amore e battaglia.
Di questi eroi quelli di cui più si chiedeva agli aedi erano Achilleus, la forza giovanile destinata a breve vita, perchè trova la morte nella esuberanza di se stessa, e Odysseus, il senno maturo che scampa per la sua accortezza ai più grandi e insoliti pericoli di battaglie e di procelle, di inimicizie atroci di uomini e dei. Erano un’antitesi perfetta: l’uno la sua ardente vita la gittava volenteroso, mentre persino l’ozio lontano dal grido della pugna gli era concesso; l’altro passava venti anni a ingegnarsi di conservarsela, la sua vita cauta e ragionevole,
- ↑ α 351 e seg.