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la poesia epica in roma 201

l’oraziano: Ut pictura poesis e il detto di Simonide, riportato poi dall’autore di Rhet. ad Herennium, che la pittura è poesia silenziosa e la poesia pittura parlante, e mi pare che gli antichi meravigliati di vedere rappresentare e colorire con le parole, che non vedono e pur fanno vedere, questo medesimo tribuissero al cantore: fa vedere e non vede. E a ciò erano invitati forse dal suono della parola ἀϝοιδός e ἀϝοιδή in cui pareva inclusa l’idea di «non vedere». E certo le parole εἶδος e εἰδύλλιον mostrano quanto il ravvicinamento di poesia a pittura fosse comune; e forse attestano una continuità inconsapevole in tempi più recenti con la falsa etimologia di quei tempi antichi: l’eco che suona dopo che la voce è estinta1. Ma che che sia di ciò, gli aedi erano volentieri imaginati ciechi, ed erravano cantando le oimai che un dio aveva loro seminate nel cuore, d’ogni genere. Qualche tratto della loro esistenza si può desumere, oltre che dall’Odyssea, dalle graziose storielle, in cui, dopo, fu posto come attore l’aedo divino sopra tutti: Omero. L’aedo dunque viaggia per l’Hellade divina e per le isole. Si aggira spesso lungo il molto rumoroso mare per trovare una nave bene arredata, che lo tragitti: egli paga i nocchieri con dolci versi, se è accolto: «Odi Poseidaone potente, scotiterra, Signore di Helicone spazioso e di-

  1. Hor. AP. 361. Plut. de gloria Ath. 3; ad Her. IV xxviii 39. Per la vera etimologia di ἀείδειν vedi Curtius Gr. Z. 247. Notevole la meraviglia di Cicerone in Tusc. V xxxix 114: Traditum est etiam Homerum caecum fuisse, at eius picturam non poesim videmus. E sopra tutto si pensi: ut quae ipse non viderit, nos ut videremus, effecerit. Così il mantis o vates Tiresia era imaginato cieco: Μάντιος ἀλαοῦ, τοῦτε φρένες ἐμπεδοί εἰσιν. κ 493.