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la poesia lirica in roma | 183 |
moria»1. Morì nell’eruzione del Vesuvio, bruciando con la sua villa2. Ciò che resta di lui, attesta solamente la sua grande abilità di verseggiatore.
Questo è ciò che di lirica fiorì dopo Orazio, durante l’impero de’ Cesari. Sotto i Flavii poetarono nel tempo stesso, sovente di medesime cose, con ingegno pari se non uguale, con animo e fortuna non troppo dissimile, due veri artisti: Papinio Stazio e M. Valerio Marziale; il primo più facile, il secondo più raccolto, quello più elegante, questo più arguto, ma tutti e due spontanei, facondi, vivi, e perfetti nelle forme metriche; tutti e due bisognosi, tutti e due propensi a cambiare i loro canti in contanti, ma con una certa ingenuità che muove a compassione più che a sdegno. Eh! non avevano essi Augusto avanti loro nè le sue vittorie nè i suoi provvedimenti legislativi. Per loro c’era Domiziano, Nerone calvo, e i ludi del circo e liberti ricchissimi e la propria mediocrità o povertà.
P. Papinio Stazio nato a Neapoli verso il 40 dopo Cristo venne a Roma con una certa fama per le vittorie riportate negli agoni poetici della sua patria. In Roma l’accrebbe e con vittorie dello stesso genere e con recitazioni, quali si usavano sin dal tempo di Asinio Pollione. E mendicò e adulò: con poco frutto, se poi cominciando a invecchiare, nel 95 vinto in uno di quei concorsi (nel Capitolino), si ritrasse con la sua moglie Claudia in patria, dove morì due anni dopo. Le Silvae, o abbozzi3,