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morir esso, per satireggiare il terribile matricida1. E del resto, seppe Lucano che cosa volesse dire non tener la lingua a segno e recitare emistichi sonori di Nerone, e dove, e a che proposito. Il qual Nerone ebbe a soffrir non poco da’ suoi compagni d’arte, ma nascosti però2.
Sangue d’Enea non è dunque Nerone? Si tolsero entrambi,
l’uno sua madre, ma via; l’altro suo padre, ma su.
Certo questa poesia, che è di quelle piante che fanno a baclo, fioriva. Ricorda anche Tacito, al tempo di Tiberio questa passione dell’anonimo: exercentibus plerisque per occultum, atque eo procacius, libidinem ingeniorum3. Meglio era della poesia farsi una ricreazione, un ingegnoso passatempo. Come faceva Caesio Basso. Di lui Persio, che gli era amico4, ricorda il plettro grave e solenne (tetricus) e lo strepito virile della sua lira, e lo dichiara: Mire opifex numeris veterum primordia vocum... intendisse. In verità egli era un grande artefice di versi e ne faceva, come poeta, e ne trattava, come grammatico; nominandosi di lui un liber de metris5. Con questo libro si sa che facesse almeno due libri di lyrica. E Quintiliano, che aveva gusto fine, aggiunge solo lui a Orazio, ne’ poeti lirici. «Tra i lirici Orazio è presso a poco il solo degno d’esser letto.... se vuoi aggiungere qualcun altro, questi sarà Caesio Basso, vissuto a nostra me-