l’alta lirica i suoi luoghi, direi quasi, d’ombra di silenzio di mistero, in cui l’uditore rapito medita e contempla. Il poeta preannunziò questo canto sublime con un ditirambo (l’ode vigesima quinta del libro III) che ad altri parve stare a sè, e dire le lodi di Cesare il grande, egregii Caesaris, nelle parole stesse con le quali le promette. Ma a me pare che di tale artifizio il poeta non avrebbe menato vanto così altamente, nè solo con le parole insigne recens adhuc Indictum ore alio, che da alcuni si riferiscono al fatto cantato più che al canto stesso, ma col simbolico suo smarrirsi in paesi selvaggi non segnati da orme. Il che si conviene mirabilmente ai carmina non prius Audita, i quali come hierodoulos delle muse canta alla nuova generazione quegli che vates nella sua giovinezza fu testimone della rovina imminente della patria e consigliere dell’abbandono di essa per plaghe felici e pie. Ora egli dice: la Necessità della morte preme su tutti. La Virtù sola ce ne libera. Per questa Cesare è consacrato al cielo, come fu già Quirino. Il quale fu fatto dio ma a un patto: che non si trasferisse l’impero in Oriente. E il nuovo Augusto questo patto ha attenuto. Egli vinse le sedizioni interne; vincerà i nemici esterni, che già ha atterrito, che già sono vinti, perchè è per tornare in fiore il costume e la disciplina dei maggiori1. In altre poesie egli insiste sull’argomento della corruzione, dell’avidità, del lusso. Nessuno creda che il poeta non sia sincero in quelle invettive e moniti e consigli! La ridente e serena pittura della mediocrità campestre e
- ↑ Vedi le odi raccolte sotto il titolo, VI. Canto nuovo.