che per la loro uniformità facevano sorridere chi ne era assalito, come le caricature, fatta ragione dei tempi, non turbano i nostri uomini di stato; doveva esservi l’antidoto, o il veleno non doveva esservi troppo nè troppo forte, se essa poesia fu poi la delizia di Maecenate e di Maecenatiani1. Essa resistè al grande fragore delle guerre civili, e tra quelle e dopo quelle spianò le sopracciglia di grandi e di poeti, nei belli orti, pieni di ronzìi, co’ noci Albani e i meli Piceni, e le zucche e i cocomeri sdraiati gravemente a terra e la menta e il basilico odorosi. Una rozza statua lignea di Priapo dominava lì tra le lattughe e i porri. Qualche volta il dio aveva anche un tempietto, un sacellum. Il Priapo, il sacellum, anche gli alberi, sono gremiti di versi; versi che fanno arrossire, ma sentono l’eleganza Catulliana2. Vergilio giovane, pare, se ne dilettò3, e non paia strano: il libellus di Catullo era nelle mani di lui tuttora giovanetto. Rimane la graziosa parodia del Phasellus che egli fece da scolaro, deridendo, probabilmente, il suo maestro di retorica, un tal Sabino che era stato mulattiere prima che retore. E quando può lasciare quella scuola e andare a Roma, ad ascoltare il filosofo che appacia l’anima, egli saluta l’assordante strepito della retorica e il noioso professore (scholasticus), con un poema in coliambi, che ricorda Catullo4. E Ca-
- ↑ C. Cilnius Maecenas, nato nelle idi di Aprile tra il 650 e il 690, morto nel 746. Vedi a pag. 109.
- ↑ Pag. 117 e 11S Priapea.
- ↑ Pag. 110-113 P. Verg. Maro: Priapea.
- ↑ Pag. 113-117 Catalepton. Le traccie di Catullo nel secondo si vedono, per es. al v. 7 Vale, Sabine, iam valete, for-