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la poesia lirica in roma 105

qualche cosa di bello era già uscito dal suo ingegno, se si deve credere che Cornelio lo lodasse nelle Chronica da lui edite dal 687 al 690. Di tutto il crocchio Catullo amò subito Calvo, più giovane di lui di cinque anni. La loro amicizia divampò, per così dire, in un grazioso duello poetico. Si conoscevano certo e si stimavano anche prima; ma Calvo era ancor Licinius per Catullo, che doveva essere per l’altro ancora Valerius. Licinio dunque aveva trovato Catullo che prendeva qualche nota nei suoi pugillares. Dove? forse in una taberna e forse della via tabernae veteres, dove era il tempio dei divini fratelli pileati1. Vennero a gara di versi e di spirito; i pugillares di Catullo servirono a tutti e due. Catullo ne uscì stordito dall’arguzia, prontezza, versatilità di quel cosellino tutto voce e penne2; e rileggendone nelle sue tavolette le tante cose graziose e maliziose, non potè prender sonno. Dal letto passò al lettuccio; voglio dire, si pose nel letticciuolo da studio e scrisse un poema col quale significava la sua ammirazione e il suo affetto. Il poema è in hendecasyllabi phalaecii: il verso che è già in Laevio, se il luogo di Macrobio dove è citato, è sano e integro3; verso però che a ogni modo è probabile che Catullo deducesse da Sappho, anche più che dagli Alessandrini. Il verso diverrà popolare. Da quel giorno Catullo e Calvo furono amici. Da allora prese Calvo (se si può argomentare), in arte, il gusto dell’amico, e scrisse anch’egli epitalamii ed imenei, a modo di Catullo. Perchè questi cantò sin dai primi tempi

  1. Per questo, vedi nota al [XXXIX].
  2. Per questo, vedi [LIII] v. 5.
  3. Pag. 26, IX, nota.