A ogni modo, rispetto ai Greci, che tutto atteggiando e sceneggiando umanamente, perdevano e facevano perdere la primitiva emozione dello spettacolo naturale, gl’italici erano più intimamente poeti, avevano più quel sentimento religioso o poetico, che è tutt’uno, il quale comanda il silenzio più che non muova la parola. Ma quando la parola è mossa, ella è più grave se non più colorita; e se non disegna più precisamente il fantasma che ha il poeta nella mente, esprime però con più profondità il commovimento dell’anima avanti ad esso. «O Sole, sorgi e invadi il tutto! Al vestibolo del cielo, tu sei, o Iane, gentile ianitor. Un buon Cerus tu sei, un buon Ianus. O benefattore de’ viventi, porta il giorno e nascondilo!»1 Così presso a poco, cantavano i Salii, sin dai primi tempi, movendo gli ancilia, in uno dei loro molti axamenta. Questo era in onore di Ianus. Eccone un altro in onore di Iuppiter tonante: «Quando tuoni, o Leucesio, tremano già di te quanti uomini ti udirono tonare»2. Il quale axamentum è interpretato da altri con più genialità, sebbene con maggior licenza: «quando tuoni, Leucesie, tremano già di te quanti in ogni luogo sono uomini, dei, tutto il mare, monti e piani»3. Antichissimo e di lezione più certa, come quello che giunse inciso su pietra, è il canto dei fratelli Arvali o Aratori. Lo cantavano danzando, un poco per uno:
- ↑ Pag. 1. Lezione e interpretazione in Versus Italici Antiqui. Carolus Zander, Lundae, 1890, pag. 29.
- ↑ Pag. 1. Lezione e interpretazione in De Saturnio Latinorum versu. L. Havet, Paris, Vieweg, 1880.
- ↑ Zander, gentile anima di poeta, sottile ingegno di critico: ib. pag. 30.