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di ricompense corrispondenti alla grandezza dei benefizi da essi conferiti alla umanitá. Per quanto infatti possa essere vero che colui che inventa 0 scuopre checchessia che possa tornare utile alla societá, non può tenere celata la propria invenzione o scoperta, e quasi soffocar!a nelle fasce, senza peccare contro la societá medesima, non ne viene tuttavia per conseguenza che questa abbia ad appropiarsi il frutto della invenzione, senza remucerarne in qualche modo ed in giusta misura l’autore, Poichè per una parte, non avendo la societá mezzo alcuno di costringere gli inventori a propalare i loro nuovi pensamenti, quella legge che ciò tentasse si rimar- rebbe senza sanzione, epperò senza vita; e per altra parte quando si potessero pure spogliare cosí gl’inventori, chi sa- rebbe mai che volesse, per mettersi in cerca di industriali miglioramenti (i quali a tutti dovrebbero fruttare fuorchè a lui solo), spendere tempo, pensieri e moneta, tentare speri- menti, porre a repentaglio tranquillitá e salute?

Ma se non può dubitarsi che agli inventori competa un qualche diritto di essere in alcun modo remunerati, non poco all’incontro si dubita della vera indole di questo diritto, della natura e della grandezza del compenso cui l’inventore può pretendere.

Altri infatti, pareggiando le invenzioni industriali alle pro- duzioni letterarie ed artistiche, e quelle e queste assomi- gliando alla prima occupazione ed al dissodamento di un terreno vergine, vorrebbe pure pareggiare il diritto deli’in- ventore, dello scrittore o dell’artista ad una vera, assoluta, inviolabile, perpetua proprietá territoriale, governata in tutto dalle medesime leggi dalle quali questa è definita e tu- telata, soggetta solo, in casi affatto eccezionali, al riscatto per motivo di pubblica utilitá.

Altri, riconoscendo per una parte il diritto che all’inven- tore compete di non essere spogliato gratuitamente della propria invenzione, ma tenendo pur per sicuro che com- peta alla societá uo diritto antagonista e superiore di go- derne immediatamente e liberamente il vantaggio, vorreb- bero che ogni nuova invenzione fosse dallo Stato riscaitata, divulgata e messa senza dilazione nel pubblico dominio.

Altri ancora, invece di un riscatto pagato dal pubblico te- soro, vorrebbero assicurare all’inventore la riscossione di un canone determinato dalla legge, il quale si avesse da cor- rispondere da ognuno che volesse far uso della invenzione di lui. ;

Altri finalmente, ai quali si sono venuti mano mano acco- stando i legislatori di tutti i popoli civili, hanno creduto che in nessun altro miglior modo sí potessero tra di loro accor- dare gli opposti diritti della societá e degli inventori, che col concedere a questi ultimi, sotto certe condizioni, e con certe cautele un temporario privilegio ; e che le altre opi- nioni che abbiamo indicate o mancassero di solido fonda- mento, o non fossero suscetlive di sicura applicazione. .

E veramente, o signori, per quale ragione volle l’univer- sale consentimento del genere umano, o, per dir meglio, per quale ragione volle l’autore stesso del genere umano, che il primo occupatore di un terreno, il primo cavatore di una miniera, l’edificatere di una casa, ne fossero soli legit- timi proprietari, cioè acquistassero sopra la terra, la miniera o la casa assoluto esclusivo dominio, con la facoltá di tras- metterlo a piacer loro ad altri, vuoi per iscambio, per li- bero dono 0 per testamento? Certamente perchè, in primo luogo, il lavoro dell’uomo indissolubilmente unito ed incor- porato col campo da lui fecondato, coa la miviera da lui aperta, con la casa da lui edificata, essendo senza l’ombra di un dubbio cosa sua, come sua è l’intelligenza che ne con-

cepí il disegno, sua la volontá che si determinò a tradurlo in atto, e sue le merubra per mezzo delle quali egli lo tradusse in aito veramente, a lui pure, di buona ragione, debbono spettare il campo, la miniera, la fabbrica, sulle quali nessun allro può vantare eguale diritto, e dalle quali non è piú possibile svellere e separare, per restituirio a colui che, a dir cosí, ve lo immedesimò, quel lavoro da cui ripetono tutta quella parte di utilitá, che non è opera immediata di Dio. E perchè, in secondo luogo, nè la terra si manterrebbe feconda, nè la miniera produttiva, nè la casa lungamente si regge- rebbe sulle sue fondamenta, se la custodia, Ja cura, e quasi che io non dissi la tutela non ne fossero affidate a certo si- gnore; la qual signoria ad altri non si potrebbe, senza ma- nifesta iniquitá conferire, fuorchè a colui al quale la fecon- ditá della terra, la produttivitá della miniera e la esistenza stessa della casa sono, ad esclusione d’ogni altra umana persona, unicamente dovute.

Ma lo stesso non si può assolutamente affermare della in- venzione di una macchina, di un processo, di un prodotfo. La invenzione è frutto bensi in parte dell’ingegno, delle me- ditazioni, degli sperimenti, pel lavoro insomma di colui che ne è autore, ma non è fruito di questo lavoro esclusivamente. Ogni nuovo pensiero è figliuclo d’altri pensieri, che ne con- tenevano come il seme od il germoglio. Nessun uomo in- venta assolutamente, e senza torre in prestito altre inven- gieni piú antiche. Nell’aggiungere laboriosamente un gradino di piú in cima alla scala ognor crescente delle umane conoscenze, ogni inventore si giova dei gradini posti dai suoi predecessori; e se noi abbiamo vista di essere mag- giori degli antichi, ciò vien solo, come ben fu scritto, perchè noi siamo saliti in sulle loro spalle. Avvi dunque in ogni nuova invenzione una parte grandissima, la quale non è nuova, che non appartiene all’inventore, che egli ha tolta dal comune dorrinio di tutti gli uomini, e sulla quale ei non può rivendicare diritto esclusivo di sorta. Altra cosa poi è la invenzione stessa, alira cosa sono gli oggetti m»teriali nei quali l’inventore medesimo la sia venuto incarnando ; questi sono senza fallo proprietá sua, assoluta, perpetua, inviolabile; ma la invenzione stessa, cioè il pensiero di un nuovo modo non prima conosciato, per cui la intelligenza umana possa esercitare il suo imperio sulla materia, non abbisogna, sic- come cosa incorruttibile, della tutela di un so!0; e siccome cosa che per essere posseduta altro non ricerca che di essere conosciuta, non è suscettiva di vera appropriazione, e to- stochè si manifesta, naturalmente trapassa in podestá di cia- scuno.

La legge di cni ci è stato commesso l’esame non riferen- dosi per nulla alla proprietá letteraria ed artistica, ma si solamente ai diritti degli inventori industriali, non c’incombe il debito di ricercare qui quale sia la vera indole, quali sieno i limiti di quella proprietá; ben:i, a mostrare come non sus» siste la paritá che da alcuni si è voluta stabilire tra la pro- prietá letteraria ed i diritti degli inventori di industrie, cí sembra mestieri traitenerci alquanto onde far palese che, per quanta analogia possa passare tra quella e questi, essa non è tale e sí perfetta, che implichi identitá assoluta ; e che le differenze che passano tra i diritti degli autori e quelli degli inventori sono anzi cosí grandi, che rendono illegittima ogni illazione che si volesse trarre dagli uni agli altri.

Non avvi infatti, come testè notavamo, invenzione sí nuova, che non abbia radice in cose note e divulgate; o se alcuna pur ve n’ha, essa costituisce una rarissima eccezione, che non deve preudersi per norma di una legge generale sulie invenzioni. Lasciando dunque fuori queste fali invenzioni,

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