li che scrivevano delle lettere, da queste grandi
nazioni in guerra, da queste loro capitali
in guerra, dicevano, scrivevano, sostenevano,
affermavano decisamente, che a Berlino, a
Londra, a Pietroburgo, malgrado l’immane
conflitto, alle frontiere e sul mare, la vita
sociale non aveva interrotto nessun suo movimento
di affari, di opere, di lavoro: che tutti
quelli che eran restati in patria, seguitavano
a compire, quotidianamente, ogni loro dovere
di lavoratore e di cittadino: e che, infine, tutti
quelli che eran restati in patria, seguitavano
a compiere, quotidianamente, ogni loro dovere
di lavoratore e di cittadino: e che, infine tutti
gli onesti svaghi che l’arte, che gli spettacoli,
che gli sports offrivano ordinariamente agli
inglesi, ai tedeschi, ai russi, seguitavano a
raccoglier pubblico, pubblico folto e pubblico
attento. E increduli, al principio, in una Parigi
senza luce, senza gioia, senza ebbrezza di
vivere, eravamo anche, increduli che a Berlino,
a Londra, a Pietroburgo, si vivesse come
sempre, come se la guerra non vi fosse, come
se non vi fossero già migliaia di vedove e migliaia
di madri, a cui eran morti, in battaglia,
i figliuoli. Non prestavamo fede, a tutto questo:
neanche che, forse, in queste nazioni non si
portasse, forse, il lutto dei prodi morti in guer-