continuamente ansiosa, era questa: «E Parigi?
E Parigi? Parigi così spumante di piaceri, così
inebriante di gioia, Parigi ove le sere di primavera,
le sere di autunno, erano un travolgente
delirio dei sensi e dello spirito, nei suoi
teatri, nelle sue vie affollate, nei suoi ritrovi
notturni, tra le musiche, i profumi, le donne
squisite, i vini squisiti, tra tutte le squisitezze.
Parigi. Parigi, Parigi?» Veniva la risposta
eguale, costante, sorprendente da ognuno
che fosse stato, che fosse colà: «Parigi
è irriconoscibile: i suoi teatri sono chiusi, come
i suoi music-hall: sono sbarrati ¡ suoi alberghi,
i suoi restaurants, i suoi ritrovi notturni:
Parigi non ha più nè corse, nè concorsi ippici,
nè esposizioni di quadri: Parigi non ha più
thé delle cinque. soupers con tziganes: la rue de la Paix
è spenta, come il quadrivio dell’Opéra,
come l’Avenue des Champs-Elysées:
Parigi, alle otto di sera, non ha più lumi: Parigi
è all’oscuro. Subito dopo, venivan le altre
domande: «E a Londra, che si fa? Che
si fa a Berlino? Che si fa a Vienna?» I testimoni
oculari, quelli che venivano dall’Inghilterra,
dalla Germania, dalla Russia, quel-