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242 il re ha parlato

giosa, in cui l’Italia vedrà, anzi tutto, cresciuta infinitamente la sua dignità di nazione e aumentato il suo territorio, di terre che fatidicamente eran sue. Egli, nella sua innata modestia, il Re d’Italia, appena accenna ai suoi sforzi, ma da questo fuggevole cenno risulta la sua speranza e la sua promessa, che questi sforzi porteranno a una pace onorata e vantaggiosa, e non potrebbe essere diversa, se è Vittorio Emanuele che la spera e la vuole, e nessun’altra pace, mai, mai, potrebbe esser quella di Vittorio Emanuele Terzo e del popolo italiano. Con animo grato, il Re d’Italia nota tutto il grande movimento civile di coloro che, volontariamente, non potendosi battere alle frontiere, dànno i loro averi, il loro tempo, la loro salute, e ogni loro altro bene, perchè la guerra italiana possa, lassù, svolgersi vittoriosa, mentre quaggiù la vita sociale non vegga illanguidirsi e spegnersi il suo fervido ritmo. Tutto ha ricordato, in questo telegramma alla grande Roma, il Re: e da questo possente riassunto di fatti e di sentimenti, Egli fa nascere quello che è il divino conforto di ogni uomo, la speranza