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x - dialogo sopra la nobiltà 29


qui si respira fino a tanto che reggono i polmoni, non è altro che veritá, e le parole, ch’escon di bocca, il sono pure.

Nobile. Or bene, io t’ho còlto adunque, balordo: io dico adunque il vero, chiamandoti una linguaccia, dappoiché qui non si respira né si dice altro che veritá.

Poeta. Piano, Eccellenza. Vi ricorda egli quanti dì sieno che voi veniste quaggiú?

Nobile. Sibbene: tre dì; e qualche ore dappoi ci giugnesti tu ancora.

Poeta. Gli è vero. Fu per lo appunto il giorno che quegli sciocchi di lá sopra, dopo avermi lasciato morir di fame, si credettero di beatificarmi qua, collocandomi in compagnia di Vostra Eccellenza.

Nobile. Egli avevano ben ragione, se non che tu non meritavi cotesta beatitudine.

Poeta. Or dite: nel momento che voi spiraste, non vi fu tosto serrata la bocca?

Nobile. Si.

Poeta. Non ragunovvisi poi dintorno un esercito di mosche, che ve la turarono vie piú?

Nobile. Che vuoi tu dire per ciò?

Poeta. Non veniste voi chiuso fra quattro assi?

Nobile. Sì, e coperte di velluto, e guernite d’oro finissimo, e portato da quattro becchini e da assai gentiluomini con ricchissime vesti nere, colle mie arme d’intorno, con mille torchi, che m’accompagnavano.

Poeta. Via, cotesto non importa. Non foste voi, così imprigionato, gettato quaggiú?

Nobile. Sì; e per ventura, cadendo, si scommessero le assi, sì ch’io ne sdrucciolai fuora, e rimasimi quale ora mi vedi.

Poeta. Non vedete voi adunque che voi avete tuttavia in corpo l’aria di lá sopra; ch’e’ non ci fu verso ch’essa ne potesse uscire, tanto voi eravate ben chiuso da ogni banda?

Nobile. E cotesto che ci fa egli?

Poeta. Egli ci fa assai; conciossiaché l’aria, piena di veritá, di quaggiú non vi può entrare, e per conseguente non ne può