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Parlando voi poscia b) dell’affettazione, e, a tal proposito, di ciò che intendano i lombardi o i milanesi per affettazione, dopo aver eccettuato ciò che ne intendano i dotti, veniste a parlare di ciò che intendano per affettazione coloro che non sanno altra lingua che quella ch’essi appresero dalla nutrice, e questa lingua chiamate «sgraziata e goffa». In altro luogo I 2 ) voi rimproveraste i lombardi, perché nel loro paese parlino continuamente la loro lingua; e diceste ch’essa troppo pute di unto. Altrove (3) cred’io che voi abbiate voluto dire, perché, a dir vero, non vi siete colá espresso troppo felicemente, che la nostra, piú che ogni altra lingua, abbia grande relazione colla cucina e colle stoviglie. Ove parlate di quelli che adoperansi per ingentilire la nostra lingua milanese dichiarate che ogni pregio e vezzo e garbo di essa consiste nel far ridere altrui con motti grossolani e alquanto sciocchi. Altrove pure (s) tornate a chiamare sgraziato il nostro parlar milanese, e dite che a’ vostri scolari dee bastare di averlo a noia. Da tutto questo voi pretendete di giustificarvi col dire, nel secondo vostro dialogo, che voi non vi siete inteso di parlar generalmente della lingua milanese, ma solo di quel nostro parlar piú plebeo, raccolto con istudio e scelta dalla piú vii feccia del popolazzo, e della piú gretta e bassa lingua, ripescata con molta fatica dalla bocca delle piú abbiette ed ignoranti persone, di servi, di rivendugliole, di fantesche, e dal linguaggio della piú vile e sordida gente del mercato e delle taverne di nostra cittá. Ciò nonostante, voi dovete esser persuaso che non vagliono le vostre interpretazioni in contrario, quando il fatto protesta contro di voi. Perché abbiamo noi a credere alla vostra sola asserzione, (1) D. I. p. iS. (2) D. I, p. 19. (3Ì D. I, p. 19. (4) D I, p. 20. (5) D. I, p. 20. (6) D. Il, pp. 8, 10.