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penetro bene addentro nella forza delle vostre ragioni ; forse l’idea, che io ho prima adottata leggendo il vostro primo dialogo, e poi serbata, di credervi colpevole, mi abbacina, mi confonde e mostrami il nero per lo bianco; che so io? qualche cosa sará. Ma come perverremo noi a scoprire il vero? a chiarirci qual di noi due abbia il torto o la ragione? Vedete: facciam cosi. Io lascerò parlare ad altri (ch’io son certo che altri ne parlerá) de’ difetti e delle colpe che voi avete commesso nel vostro primo dialogo, e mi atterrò solamente a que’ capi che voi dissimulate nel secondo, e da’ quali procurate di difendervi. Chi sa che io, svolgendo e partendo la materia, non venissi a convincer voi del vostro fallo, o a rimanere io medesimo persuaso della vostra innocenza! il che quanto io desidero vivamente per onor vostro, tanto credo che sará difficile a riuscire. Cominciamo adunque da ciò che voi dite per difendervi dal rimprovero fattovi di avere senza verun rispetto parlato delle donne milanesi. Voi dite che, faccendo voi, nel primo dialogo, quel confronto tra le milanesi e le toscane, non avete altrimenti inteso di favellar delle signore, delle dame e delle altre piú civili donne, le quali, come voi pur confessate, debbono esser comprese in questo genere «donna». Ben vi accorgete ch’io qui riduco in poco tutto ciò che, nel secondo vostro dialogo, avete steso in due o tre pagine. E perché credete voi ch’io il faccia? Non per altro certamente, se non perché nella quantitá delle parole non si avviluppi il discorso, ma rimanga sensibile, e come dire a galla, la veritá. Vediamo ora se voi veramente, nel primo dialogo, abbiate, come nel secondo vorreste far credere, parlato solamente delle vili femmine e delle plebee. Io non mi servo delle vostre parole medesime, perché non mi piace di scrivere pedantescamente, e perché io so che, anche vestendo colle mie parole i vostri sensi, non mi tenete per uomo da volere aggiugnere o scemare il menomo iota alla veritá. Voi parlavate, nella dodicesima pagina del primo dialogo, di quanto contribuisca, non solamente alla robustezza del corpo, ma eziandio alla vivacitá e prontezza della niente, la salubritá