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la vivacitá, la leggiadria, la gentilezza e la coltura: e vi siete in tale occasione servito di maniere improprie ed indecenti, si per rispetto a voi che le avete scritte, si per rispetto loro, cui meno si convenivano, generalmente parlando, e pel loro temperamento e per la loro educazione (0. Finalmente, oltre a tante altre cose, accusanvi di avere immeritamente biasimato la lingua milanese e chiunque la usa, non solo posponendola alla toscana (di che niuno si dorrebbe), ma, quel ch’è assai peggio, caricandola, egualmente che tutte le altre cose nostre, di mille ingiurie grossolane e plebee, e lo stesso faccendo indistintamente di tutti coloro, che o per necessitá la parlano, o per diporto o per qualunque altro fine scrivonla sovente e l’adoperano in versi. Per questi ed altri motivi, ch’io tralascio per brevitá, credono di potersi ragionevolmente doler di voi i milanesi, e protestano comunemente di non aver giammai meritato, con alcun torto fattovi, la vostra indegnazione e le vostre aspre e poco discrete punture ed offese; che anzi, come io giá vi ho accennato di sopra, a misura de’ servigi, che voi prestate alla lor patria, vi hanno sinora premiato ed onorato. Tosto che usci l’altro vostro libro intitolato Dialogo secondo , il cercai avidamente, desideroso di vedere che voi vi discolpaste di tutto ciò onde siete stato accusato per riguardo al primo. Vedete quanta cura io mi prendo dell’onor vostro, anche per interesse mio, perciocché la gloria del precettore suol tornare ancora in gloria dello scolare. Io ebbi alla fine, io apersi, io lessi questo benedetto secondo dialogo; e, quando io mi credea di trovarvi in esso pienamente giustificato, o almeno almeno bastevolmente scusato, ecco che voi, con vane ed inutili distinzioni, con sottili raggiri, con guaste, corrotte e contrarie interpretazioni, invece di difendervi, di dimostrarvi innocente, vi rendete anzi piú colpevole colla maniera sofistica, con cui pretendete di farlo. Forse io mi potrei ingannare, forse io non (i) D. I, pp. 8, lS, 19, 20, 53.