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materie amorose e lascive. Per conferma di ciò merita d’esser notato quello che Benedetto Varchi dice nel suo Ercolano\ «Quando — dic’egli — il magnanimo Giuliano, fratello di papa Leone, era vivo, che sono piú di quarant’anni passati, nel qual tempo la lingua fiorentina, comeché altrove non si stimasse molto, era in Firenze per la maggior parte in dispregio; e mi ricordo io, quando era giovanetto, che il primo e piú severo comandamento, che facevano generalmente i padri a’ figliuoli e i maestri a’ discepoli, era che eglino né per bene né per male non leggesseno cose volgare (per dirlo barbaramente come loro); e maestro Guasparri Mariscotti da Maradi, che fu nella grammatica mio precettore, uomo di duri e rozzi, ma di santissimi e buoni costumi, avendo una volta inteso, in non so che modo, che Schiatta di Bernardo Bagnesi ed io leggevamo il Petrarca di nascoso, ce ne diede una buona grida, e poco mancò che non ci cacciasse di scuola». A queste parole soggiugne il Varchi per mezzo d’un altro interlocutore: «Dunque a Firenze, invece di maestri che insegnassero la lingua fiorentina, come anticamente si faceva in Roma della romana, erano di quelli i quali confortavano, anzi sforzavano a non impararla, anzi piuttosto a sdimenticarla». Indi seguita il Varchi medesimo: «E ancora oggi non ve ne mancano; e credete a me che non bisognava né minor bontá né minor giudizio di quello dell’illustrissimo ed eccellentissimo signor duca mio padrone». Ma, non ostante tutte le difficoltá che si opponevano d’ogni parte e che si opposero anche dappoi, il concorso degli umani accidenti portava pure che il dialetto toscano salisse ad essere la lingua nobile e comune della gloriosa nazione italiana, e che in essa dovessero poi scriversi tali opere da muovere a gara i forestieri popoli ad avidamente impararla, e da innalzare l’Italia moderna al pari dell’antica e della Grecia stessa in genere di scrittori. Quindi è che, all’esempio ed alla voce del Bembo, scossero il giogo della barbara opinione gl’italiani ingegni. Coloro che si opponevano a’ progressi della toscana favella furono costretti a tacere; o, se pur parlarono, non vennero altrimenti ascoltati, perocché quegli che in essa scrivevano eccellentemente, erano