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sulle scritture de’ migliori toscani il vero e diritto uso della nostra lingua non avesse studiato? Come avrebb’egli potuto dir, siccome ei fa nella prefazione alle sue prediche, d’aver proccurato «nella elocuzione di mettere ogni suo studio»? d’aver «riputato suo debito il sottoporsi con rigore non piccolo a quelle leggi, che son nella toscana lingua le riverite generalmente e le rette»? Egli è forza addunque che ’1 Segneri vegliasse sulle opere piú purgate de’ toscani scrittori, per ivi apprendere e ’1 piú puro linguaggio e la miglior locuzione. Né soltanto l’asserzion sua, o lo sperimento ch’ei ne diede, ci debbe assicurar di ciò, ma la relazion di coloro eziandio, che lasciate hanno onorevoli memorie di quel grand’uomo. Che ’l Segneri poi non sia giammai entrato nel gusto della nostra lingua, niuno insino ad ora ha ardito di asserir cosi ampiamente, fuorché il padre Bandiera. Egli stima, siccome cred’io, che’l gusto della nostra lingua consista soltanto in un ben tornito periodo che per tortuose vie si ravvolga in se stesso a guisa d’un labirinto, o in un zibaldoncello di rancide voci e di affettate maniere eli dire, le quali poi si gettino senza risparmio in ogni capitolo d’un’opera scritta o in ogni pagina d’un’orazione, siccome voi comprenderete in appresso lui medesimo aver fatto. Cotale abuso non troverem noi nelle opere tutte del padre Segneri, il quale in ogni luogo ha quasi sempre fatt’uso di buone voci, c frasi ha adoperate e costruzioni sempremai naturali e proprie della toscana lingua. Si possono egli forse mostrar negli scritti di lui vocaboli o modi di dire vieti e muffati, o vili e barbari, e per niente accettati dall’uso? No certamente. Dunque convien creder che ’l padre Segneri entrasse al par d’ogni altro nel gusto della nostra lingua, dappoiché egli seppe scriver colle voci e colle frasi di quella. Che s’egli di troppo sublime stile alle occasioni non si servi, e quelle arti trascurò che conciliar lo potevano alle prediche sue, di ciò debb’egli esser ripreso dal retore, a cui s’appartiene il giudicar dello stile che è comune ad ogni linguaggio: al grammatico non giá, che i confini non dee varcar della propria favella; se giá non s’hanno a confondere insieme due cosí disparate cose. Laonde