Pagina:Parini, Giuseppe – Prose, Vol. I, 1913 – BEIC 1891614.djvu/119

direbbe il padre Branda, se io gli mostrassi che non l’opera del signor Balestrieri, ma questa sua medesima lettera è stata giudicata, da chi legittimamente giudicar ne potea, contumeliosa e contenente motteggi, che offendono la fama d’un onest’uomo? Oh quanto è mai imprudente questo religioso, quanto è mai imprudente! Lascio tutte le ingiurie, ch’egli scaglia contra il signor Balestrieri, il quale non ha fatto altro che deridere gli ultimi scritti di lui. Giá avrete veduto nel mio Avvertimento , com’egli il chiama «bocca succida, lorda, stomacosa e maledica, e insomma uomo di un carattere molto defforme»; e m’immagino che voi avrete detto fra voi medesimo: — Possibile che questo benedetto padre si sia giá dimenticato di quelle sue spietate lettere contra Pirico, nelle quali non ci è sorta di feritrici espressioni, di cui egli non siasi contro di lui servito! E quest’uomo, che per abito ha sempre scritto in simile guisa, ardisce ora di dichiarar pubblicamente, contra il giudizio de’ tribunali, per famosi libelli le opere di chi, oltraggiato da lui, s’è contentato di deridere e di schernire la maniera dello scrivere e del ragionare di una sola sua operetta? — Io non mi maraviglio meno di voi, o amico gentilissimo; e torno a dire che mi rincresce altamente che il padre Branda faccia si gran torto alla sua onestá ed alla sua virtú, seguitando pure a scriver di simili cose. Anzi io lascerei volentieri di piú parlare, e non iscriverei piú nulla, se quanto mi preme l’onor suo non mi dovesse premere anche il mio. lo desidero ancora vivamente ch’egli o lasci di piú stampare, o il faccia in tutt’altra maniera che non ha fatto finora; perciocché è incredibile lo scandolo e il malo esempio, che ne debbono avere i nostri giovani, che frequentano la sua scuola, i quali, leggendo simili cose, e sapendo che il lor padre maestro le ha composte, possono apprendere ad imitarle quundochessia. Anzi ci sarebbe pericolo che altri potesse dir de’ nostri scolari ciò che Crasso, presso Cicerone, dicea di quelli di Roma, i quali «non altro apprendevano che la sfrontatezza sotto a certi nuovi maestri», ch’ei fece poi levare, essendo censore, con un suo editto.