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Lasciamo che il padre Branda getti-alla ventura ciò che in capo gli viene; e a noi sia testimonio delle nostre onorate intenzioni la nostra stessa coscienza. E qual miglior testimonio della coscienza d’un onest’uomo? Osservate solamente a questo proposito o il coraggio o la smemorataggine del padre Branda. In una lettera da lui indirizzata al nostro Tanzi, si lamenta alla pagina 4 ch’ei vada «male a proposito rimescolando le giá finite letterarie quistioni», quando egli medesimo ciò ha fatto prima del Tanzi, come voi avete veduto nel passo da me poc’anzi citato, ove con un tratto pungente vien tra gli altri dipinto quel nostro amico, che, come il padre Branda dice, «per mia bocca si duole di una antica sua piaga, non bene ancora rimarginata». Ma torniamo ad esaminare i motivi, da’ quali, contra il consiglio de’ piú «dotti e prudenti», è stato indotto il padre Branda a rispondermi in cose «tanto languide, frivole e dissipite». «Voi sapete — dic’egli a pagina 8 — che l’impiego, nel quale tuttavia mi ritrovo, rendemi debitore del grado mio agli scolari miei, e costringemi a soddisfare alla giusta loro aspettazione, che rimarrebbe delusa, se col mio tacere lasciassi luogo a qualche vostra milanteria». Il padre Branda ha procurato mai sempre di dare autoritá alla ingiuriosa maniera del suo scrivere, citando gli obblighi del suo impiego. Cosí mi ricorda ch’ei lacca nel tempo stesso ch’egli insultava il signor canonico Irico. Io so che la carica di professore dell’eloquenza obbliga chiunque la copre a saper l’arte ch’egli insegna, ed a saper le lingue nelle quali egli scrive od ammaestra gli altri. So che il pubblico splendore di essa lo avverte d’essere circospetto e di portarsi cautamente nelle cose che le appartengono, di modo che niuno abbia giammai a dolersi che, sotto l’ombra del pubblico impiego, si avventurino cose indegne della dottrina e della gravitá ch’esso richiede. Che se qualche professore per disgrazia cade in alcun fallo concernente alla sua carica, la ingenuitá e la moderazione debbono riparare il torto, ch’egli le ha fatto; non giá l’ostinatezza, il mal talento e la contenzione. La nostra gioventú, alle sue mani affidata, non solamente da lui richiede prove