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316 | sonetti |
a’ guelfi e a’ ghibellini:
e insino a’ gufi, insino a’ vipistregli
l’han dichiarito papa de’ baccegli.
E, intanto che legg’egli,
dicon l’un l’altro:—Compar mio, deh mira
quanto sta bene l’asino alla lira. —
CXXXVI
PENTIMENTO
Ira è un breve furor, subito ardente,
ch’un gentil petto infiamma, agita e scuote;
e bench’ella sia error, anco è sovente
de le bell’opre altrui stimolo e cote:
e ’l poetico sacro estro fervente,
tu, pio Signor, ben sai quanto in noi puote;
e sai come, s’avvien ch’altri lo tente,
ratto s’inaspri, e’l fier pungolo arrote.
Ma perché ornar con lusinghiero inchiostro
il mio fallir vogl’io, qual chi cancella
macchie dal volto suo con minio od ostro?
Venga ’l mio fallo a te, Signor, con quella
sua feritá natia; e in faccia al mostro
splenda la tua pietate assai piú bella.
CXXXVI I
LAMENTO DI EURINDA
Stesa sul letto un di languida e mesta
stava Eurinda gridando: — Ohimè tapina! —
per un certo dolor, che per la festa
aveala concia e messala in rovina.
Non era questo giá dolor di testa,
o qualche gran difficoltá d’orina,
ma male a cui altro guarir non resta
che tosto domandar monna Lucina.