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304 | sonetti |
CXVII
LA MADRE MORTA
vien dal cielo e trova il figlio affidato alla matrigna.
D’Adria l’estinta sposa in bianche vesti,
notte coprendo il mondo opaca e nera,
entrar fu vista, ed al fanciullo in questi
sensi far vezzi, tra pietosa e altera:
— Figlio, ché pur mio figlio esser dovresti,
se noi toglieva morte, o se non era
che a te, che di tua patria onor nascesti,
forse non convenia madre straniera,
vivi, o figlio, felice: il caro padre, —
e in ciò dir pianse e se lo strinse al seno, —
fa di te lieto, e la gentil tua madre.
Tu questi imita; e, s’altro non poss’io,
al ciel ritorno ad impetrarti almeno
gli anni ch’eran dovuti al viver mio. —
CXVIII
UN VEDOVO E SUA FIGLIA
Mentre sul freddo letto ancor giacea,
piena il viso di morte, e gli occhi spenti,
su l’una sponda assisa a lei stendea
la figlia, ignara ancor, palme innocenti.
Muto dall’altra il genitor volgea
or su questa or su quella i rai piangenti;
poi, scosso al fine: — Oh figlia mia, — dicea,
— che il danno tuo, che il mio dolor non senti,
a che cerchi la madre? a che la mano
stendi ai gelidi avanzi? In Dio, giá sciolto,
fuggi lo spirto, e tu lo chiami in vano.
Deh non seguirla, o figlia; e al mesto padre,
in parte almen, nelle virtú, nel volto,
rendi un giorno, se il puoi, rendi la madre! —