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282 | sonetti |
LXXVIII
LE PASSIONI, LA RAGIONE E L’AIUTO DIVINO
La fetida del cor negra palude
tant’atre di pensier nuvole e crebre
manda, che colle loro ampie tenèbre
ogni breve a Ragion luce interchiude.
Bene, o Signor, la tua santa virtude
penetra si le occulte ime latebre
che le gravi a Ragione alza palpèbre
cui l’orror folto e il crasso aere chiude;
ma che giova, o Signor, se a poco a poco
la putrida del seno onda stagnante
io non rasciugo all’immortai tuo foco,
si che Ragion non pure apra un istante
i lumi al ver; ma sempre abbia poi loco
nel suo nobile imper chiara e costante?
LXXIX
PER IL VENERDÌ SANTO
Quel che la lebbra de’ peccati nostri
da le nostr’alme col suo sangue asterse,
oggi sul monte, in mezzo a fèri mostri,
vittima al padre se medesmo offerse.
Poi che d’amor, di crudeltá fúr móstri
tutti gli eccessi, il velo in due s’aperse:
tremò Natura da i piú fondi chiostri,
e d’atro manto il volto ricoperse.
Or noi, bagnati di quel sangue santo,
torniam a rimembrar l’atroce scempio,
nel cor compunti e con le luci in pianto:
e tu, signor, con noi nel mesto tempio
le tue lagrime versi. Ah ben sai quanto
vaglia de’capi in Israel l’esempio!