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60come dannato è a far l’umile vulgo.
A voi, celeste prole, a voi, concilio
di semidei terreni, altro concesse
Giove benigno: e con altr’arti e leggi
per novo calie a me convien guidarvi.
65Tu tra le veglie e le canore scene
e il patetico gioco oltre piú assai
producesti la notte; e, stanco alfine,
in aureo cocchio, col fragor di calde
precipitose rote e il calpestio
70di volanti corsier, lunge agitasti
il queto aere notturno, e le tenèbre
con fiaccole superbe intorno apristi,
siccome allor che il siculo terreno
dall’uno all’altro mar rimbombar féo
75Pluto col carro a cui splendeano innanzi
le tede de le Furie anguicrinite.
Cosi tornasti a la magion; ma quivi
a novi studi ti attendea la mensa
cui ricoprien pruriginosi cibi
80e licor lieti di francesi colli
o d’ispani o di toschi, o l’ongarese
bottiglia a cui di verde edera Bacco
concedette corona, e disse: — Siedi
de le mense reina. — Alfine il Sonno
85ti sprimacciò le morbide coltrici
di propria mano; ove te accolto, il fido
servo calò le seriche cortine;
e a te soavemente i lumi chiuse
il gallo, che li suole aprire altrui.
90Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi
non sciolga da’ papaveri tenaci
Morfeo prima che giá grande il giorno
tenti di penetrar fra gli spiragli
de le dorate imposte, e la parete
95pingano a stento in alcun lato i raggi