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358 le odi


     Ei t’era ignoto ancor, quando a me piacque.
Io di mia man per l’ombra e per la lieve
aura de’ lauri l’avviai, vèr l’acque
 che, al par di neve
     65bianche le spume, scaturir dall’alto
fece Aganippe il bel destrier che ha l’ale:
onde chi beve io tra i celesti esalto
 e fo immortale.
     Io con le nostre il volsi arti divine
70al decente, al gentile, al raro, al bello:
fin che tu stessa gli apparisti al fine
 caro modello.
     E se nobil per lui fiamma fu desta
nel tuo petto non conscio: e s’ei nodria
75nobil fiamma per te, sol opra è questa
 del cielo e mia.
     Ecco giá l’ale il nono mese or scioglie
da che sua fosti, e giá, deh! ti sia salvo,
te chiaramente in fra le madri accoglie
 80il giovin alvo.
     Lascia che a me solo un momento ei torni;
e novo entro al tuo cor sorgere affetto,
e novo sentirai da i versi adorni
 piover diletto:
     85però ch’io stessa, il gomito posando
di tua seggiola al dorso, a lui col suono
de la soave andrò tibia spirando
 facile tono:
     onde, rapito, ei canterá che sposo
90giá felice il rendesti, e amante amato;
e tosto il renderai dal grembo ascoso
 padre beato.
     Scenderá in tanto dall’eterea mole
Giuno, che i preghi de le incinte ascolta;
95e vergin io de la Memoria prole,
nel velo avvolta,