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24 | alcune poesie di ripano eupilino |
XXXVIII
Lá dove Pindo al del tanto s’innalza,
che le due corna infra le nubi asconde,
e giú per quello van di balza in balza
con dolce mormorio le placid’onde,
i’ fui, Manzoni, e le fiorite sponde
osai calcar, dove succinta e scalza
erra la schiera ognor de le gioconde
figlie di Giove, carolando, e balza.
E visto appena, elle mi furo accanto
di te chiedendo; e di quell’onda lieve
una bell’aureo vaso attinse intanto;
indi: — Questo a lui porgi, e d’ogni greve
morbo il sollevi e lo risvegli al canto. —
Disse, e mel porse colla man di neve.
XXXXIX
Manzon, s’io vedrò mai l’aspro flagello
dell’irata fortuna un di posarse,
e il ciel che sinor nubilo apparse,
tornar sopra di me sereno e bello,
udraimi, acceso di furor novello,
versi cantar, e al canto mio placarse
ogni fera crudele, e cheti starse
i fiumi, e a me condurse ogni arboscello.
Ridi? Non sai quanto Anfion poteo
su le pietre tebane e quanto impero
nelle selve di Tracia usava Orfeo?
Ah, cosí s’ammollisca il destin fiero;
ché quanto il trace e quel teban giá feo,
di far tanto, e piú ancora, i’ non dispero.