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237 | il giorno |
del piú nobile mondo: ora ne vieni
455e del rallegrator dell’universo
rallegra or tu la moribonda luce.
Giá tarda a la tua dama; e giá con essa
precipitosamente al corso arrivi.
Il memore cocchier serbi quel loco
460che voi dianzi sceglieste, e voi non osi
tra le ignobili rote al vulgo esporre,
se star fermi vi piace; ed oltre scorra,
se di scorrer v’aggrada; e a i guardi altrui
spiegar gioie novelle, e nuove paci
465che la pubblica fama ignori ancora.
Né conteso a te fia per brevi istanti
uscir del cocchio: e sfolgorando intorno,
qual da repente spalancata nube,
tutti scoprir di tua bellezza i rai,
470nel tergo, ne le gambe e nel sembiante
simile a un dio; poi che a te, non meno
che all’altro semideo, Venere diede
e zazzera leggiadra e porporino
splendor di gioventú, quando stamane
475allo speglio sedesti. Ecco son pronti
al tuo scendere i servi. Un salto ancora
spicca e rassetta gl’increspati panni
e le trine sul petto: un po’ t’inchina:
ai lucidi calzari un guardo volgi:
480ergiti, e marcia dimenando il fianco.
O il corso misurar potrai soletto
se il passeggiar tu brami: o tu potrai
dell’altrui dame avvicinarti al cocchio,
e inerpicarti, et introdurvi il capo
485e le spalle, e le braccia, e mezzo ancora
dentro versate. Ivi salir tant’alto
fa le tue risa, che da Iunge le oda
la tua dama, e si turbi, ed interrompa
il celiar degli eroi che accorser tosto