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233 il giorno


fu il nobile vagito accolto a pena,
che cento messi a precipizio uscirò
con le gambe pesanti e lo spron duro
stimolando i cavalli, e il gran convesso
315dell’etere sonoro alto ferendo
di scutiche e di corni: e qual si sparse
per le cittadi popolose, e diede
a i famosi congiunti il lieto annunzio:
e qual per monti a stento rampicando
320trovò le ròcche e le cadenti mura
de’ prischi feudi ove la polve e l’ombra
abita e il gufo; e i rugginosi ferri
sopra le rote mal sedenti al giorno
di novo espose, e fe’ scoppiarne il tuono;
325e i gioghi de’ vassalli e le vallee
ampie e le marche del gran caso empieo.
Né le muse devote, onde gran plauso
venne l’altr’anno a gl’imenei felici,
giá si tacquero al parto. Anzi, qual suole
330lá su la notte dell’ardente agosto
turba di grilli, e piú lontano ancora
innumerabil popolo di rane
sparger d’alto frastuono i prati e i laghi,
mentre cadon su lor fendendo il buio
335lucide strisce, e le paludi accende
fiamma improvvisa che lambisce e vola;
tal sorsero i cantori a schiera a schiera;
e tal piovve su lor foco febeo,
che di motti ventosi alta compagine
340fe’ dividere in righe, o in simil suono
uscir pomposamente. Altri scoperse
in que’ vagiti Alcide, altri d’Italia
il soccorso promise, altri a Bisanzio
minacciò lo sterminio. A tal clamore
343non ardi la mia Musa unir sue voci:
ma del parto divino al molle orecchio