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ii - il mezzogiorno 147


non piú gli urti festevoli, o sul naso,
925l’elegante scoccar d’illustri dita
fòra dato sperare. A lui tu dunque
non isdegna, o signor, volger talvolta
tu’ amabil voce: a lui declama i versi
del dilicato cortigian d’Augusto,
930o di quel che tra Venere e Lieo
pinse Trimalcion. La Moda impone
Ch’Arbitro o Fiacco a un bello spirto ingombri
spesso le tasche. Il vostro amico vate
t’udrá, maravigliando, il sermon prisco
935or sciogliere, or frenar, qual piú ti piace:
e per la sua faretra, e per li cento
destrier focosi che in Arcadia pasce,
ti giurerá che di Donato al paro
il diffidi sermone intendi e gusti.
     940Cotesto ancor di rammentar fia tempo
i novi sofi che la Gallia e l’Alpe,
esecrando, persegue; e dir qual arse
de’ volumi infelici e andò macchiato
d’infame nota: e quale asilo appresti
945filosofia al morbido Aristippo
del secol nostro; e qual ne appresti al novo
Diogene, dell’auro spregiatore
e della opinione de’ mortali.
Lor volumi famosi a te verranno,
950da le fiamme fuggendo a gran giornate,
per calle obliquo e compri a gran tesoro:
o, da cortese man prestati, fièno
lungo ornamento a lo tuo speglio innanzi.
Poiché scorsi gli avrai pochi momenti,
955specchiandoti e a la man garrendo indotta
del parrucchier; poiché t’avran la sera
conciliato il facil sonno, allora
a la toilette passeran di quella
che comuni ha con te studi e liceo,