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ii - il mezzogiorno 137


puote, e discerner sa qual abbian tutte
565uso e natura. Piú d’ognaltra cosa
però ti caglia rammentar mai sempre
qual piú cibo le nuoca, o qual piú giovi
e l’un rapisci a lei, l’altro concedi,
come d’uopo ti par. Serbala, oh dio!
570serbala ai cari figli. Essi dal giorno
che le alleviáro il dilicato fianco,
non la rivider piú: d’ignobil petto
esaurirono i vasi, e la ricolma
nitidezza serbáro al sen materno.
575Sgridala, se a te par ch’avida troppo
agogni al cibo; e le ricorda i mali,
che forse avranno altra cagione, e ch’ella
al cibo imputerá nel di venturo.
Xé al cucinier perdona, a cui non calse
580tanta salute. A te sui servi altrui
ragion donossi in quel felice istante
che la noia o l’amor vi strinser ambo
in dolce nodo, e dièr ordini e leggi.
Per te sgravato d’odioso incarco,
585ti fia grato colui che dritto vanta
d’impor novo cognome a la tua dama;
e pinte trascinar su gli aurei cocchi,
giunte a quelle di lei, le proprie insegne:
dritto illustre per lui, e ch’altri seco
590audace non tentò divider mai.
     Ma non sempre, o signor, tue cure fieno
a la dama rivolte: anco talora
ti fia lecito aver qualche riposo;
e de la quercia trionfale all’ombra,
595te de la polve olimpica tergendo,
al vario ragionar degli altri eroi
porgere orecchio, e il tuo sermone ai loro
ozioso mischiar. Giá scote un d’essi
le architettate del bel crine anella