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ii - il mezzogiorno 127


il tuo nome, o signor; di giá l’udiro
205l’ime officine, ove al volubil tatto
degl’ingenui palati arduo s’appresta
solletico che molle i nervi scota,
e varia seco voluttá conduca
fino al core dell’alma. In bianche spoglie
210s’affrettano a compir la nobil opra
prodi ministri: e lor sue leggi détta
una gran mente, del paese uscita
ove Colbert e Richelieu fúr chiari.
Forse con tanta maestade in fronte,
215presso a le navi ond’Uio arse e cadéo,
per gli ospiti famosi il grande Achille
disegnava la cena: e seco intanto
le vivande cocean sui lenti fochi
Pátroclo fido e il guidator di carri
220Automedonte. O tu, sagace mastro
di lusinghe al palato, udrai fra poco
sonar le lodi tue dall’alta mensa.
Chi fia che ardisca di trovar pur macchia
nel tuo lavoro? Il tuo signor farassi
225campion de le tue glorie; e male a quanti
cercator di conviti oseran motto
pronunciar contro te; ché sul cocente
meriggio andran peregrinando poi
miseri e stanchi, e non avran cui piaccia
230piú popolar con le lor bocche i pranzi.
     Imbandita è la mensa. In piè d’un salto
alzati, e porgi, almo signor, la mano
a la tua dama; e lei, dolce cadente
sopra di te, col tuo valor sostieni,
235e al pranzo l’accompagna. I convitati
vengan dopo di voi; quindi ’l marito
ultimo segua. O prole alta di numi,
non vergognate di donar voi anco
pochi momenti al cibo: in voi non fia