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del bel mondo onde tu se’ cittadino.
Tempo giá fu, che il pargoletto Amore
dato era in guardia al suo fratello Imene;
315poiché la madre lor temea che il cieco
incauto nume perigliando gisse
misero e solo per oblique vie,
e che, bersaglio agl’indiscreti colpi
di senza guida e senza freno arciero,
320troppo immaturo al fin corresse il seme
uman, ch’è nato a dominar la terra.
Perciò la prole mal secura all’altra
in cura dato avea, si lor dicendo:
— Ite, o figli, del par; tu, piú possente,
325il dardo scocca; e tu, piú cauto, il guida
a certa meta. — Cosi ognor compagna
iva la dolce coppia, e in un sol regno
e d’un nodo comun l’aline stringea.
Allora fu che il sol mai sempre uniti
330vedea un pastore ed una pastorella
starsi al prato, a la selva, al colle, al fonte;
e la suora di lui vedeali poi
uniti ancor nel talamo beato,
ch’ambo gli amici numi a piene mani
335gareggiando spargean di gigli e rose.
Ma che non puote anco in divino petto,
se mai s’accende, ambizion di regno ?
Crebber l’ali ad Amore a poco a poco,
e la forza con esse; ed è la forza
340unica e sola del regnar maestra.
Perciò a poc’aere prima, indi piú ardito
a vie maggior fidossi, e fiero alfine
entrò nell’alto, e il grande arco crollando
e il capo, risonar fece a quel moto
345il duro acciar che la faretra a tergo
gli empie, e gridò: — Solo regnar vcgl’io! —
Disse, e vólto a la madre: — Amore adunque,