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NOVELLA IX

Scaltro, servo di tnesser Giuvenale, con una bellissima astuzia inganna un negromante, con la moglie del quale, senza che ella se n’aveda, in persona di lui si solazza.

Dico adunque che in Reggio, cittá fertilissima e giocondissima, fu giá un gentiluomo piemontese, quinci, per la guerra, venutone con la moglie, che sola aveva e ancor fresca donna, e con quel migliore che delle sue facultá aveva potuto raccogliere, ad abitare. Chiamavasi per nome costui Giuvenale, uomo nella etá piú presso a cinquanta anni che a quarantotto, ed era per natura splendido e cortese, ma nel resto sempliciotto e di poca levatura. E fra le altre sciocchezze, a cui la semplice natura sua l’induceva, una era il credersi bellissimo uomo; e di questo cotal credito appresso di sé n’aveva conceputo, che, non avendo risguardo ch’egli fosse ornai vecchio e piú tosto buono per farsi tagliar il pane che ad altrui voler tagliar la carne, si poneva a far l’amore con ogni sorte di donne; e, cosi senza come con affezione, con ferma speranza, niuna non poter lungamente sopportar la battaglia ch’egli si credeva darle con la sua bellezza. Avvenne che costui, come piacque ad Amore, che talor si truova sazio di prede onorevoli, s’infiammò d’una cortegiana, la quale e bella e scaltrita era sopra modo. Seppelo cosi bene costei tener sopra il vischio, e fugli facile a fare per la semplicitá sua, che un anno intiero d’oggi in domane lo aggirò, facendogli spendere e passi e denari a sua voglia. Aveva il vecchio un servo malizioso e astuto come la mala cosa, il quale da tutti era chiamato Scaltro. Costui, essendosi accorto della tirannia che usava costei sopra il suo padrone, e appresso dei denari ch’ella ne traeva, piú volte nel riprese, dicendoli questo essere una prattica vergognosa e dannosa per

G. Parabosco, Opere vane.

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