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non gli è contra constituita legge, non infamia; ma invece di ciò onore e vanagloria se ne porta. Onde allo ’ncontro, se questo infelice sesso della donna, non voglio dire commette, ma pensa a qualche gusto amoroso, la pena delle adultere le mette spavento, la quale vituperosa morte le minaccia, e non sovra di lei solamente la vergogna ne torna, ma sovra tutta la casa, sovra tutti i suoi parenti. E non so che privilegio loro abbia concesso Iddio, che l’universo con somma providenzia regge, come il suo peccato non stimino, il nostro capitale eccesso giudichino. Sono veramente gli uomini a lor benefizio stati giudici, né dalla femina si poteva innanzi a tribunal d’altri della crudel sentenza dolere, se non forse con Dio, il quale giustamente riguarda e misura dell’uno e l’altro sesso le opere. E, se pari non vanno le pene co’ peccati negli uomini, perché deve esser parziale la legge e non è la istessa licenzia alla donna concessa? Sono adunque, per non andar piú lunge, stati essi uomini tiranni, i quali per non tenere a canto in ciò legge alcuna, usano, invece di ragione, la propria volontá. E se tu, padre, invece d’una figliuola, ti avessi trovato un figlio, il quale, ogni maniera di libidine essercitando, fusse piú ad irragionevole animale che ad uomo fatto simigliarne, delle sue sceleritá in cotal peccato mai non ti sarebbe venuto pensiero. Ma, perché io sono di quel legnaggio uscita dell’infelice sesso, si duramente dall’uomo tiranneggiato nel mondo, se per lo sforzo della natura (non altrimenti di ciò che soglia nel tempestoso mare alcuno a tempo di naufragio fare, cercando ad ogni legno, che gli occorra, d’appiccarsi) mi sono lasciata per occasione dal buon proposito deviare (che tu pure non negherai di averlami per commandamento data) e in si orribil peccato cadere, divenuto oltre ad ogni convenevolezza crudele, di bruttarti del tuo sangue ti apparecchi. Ahi! ch’io porto caduto l’animo da piú sostenere i fieri assalti della nimica fortuna ! la quale, benigna e abondevole nel primo nascimento mio ricevendomi, nella piú verde e fiorita etá della giovanezza mi ha cosi perfidamente vòlte le spalle. Tu, cieca e malvagia fortuna, divenuta de’ tuoi beni invidiosa, che per un picciolo momento prestati mi avevi, per farmi nobile e d’alto legnaggio nascere, non prendesti da te stessa in grado d’essermi stata prospera; perché, tosto ritraendone l’instabil mano e lasciandomi de’ tuoi veleni, tanto piú aspra mi ti volesti mostrare. E furono sopra di me tali le tue percosse, che di figliuola di un re non ti parve assai se mi mutasti in serva; ché, senza colpa