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erií disse queste parole: — Non per ischernire la vostra sentenza, o signore, né per volermi opporre al comandamento vostro io, infelicissima moglie, fui trasportata a trarre di prigione il marito mio con inganno e liberarlo dalle vostre mani, ma, vinta piú dall’amore che dal timore, ho posto questa mia vita in abandono per salvar quella di lui. E avengach’io non sappia la cagione che vi mosse a condannare il mio marito a morte, io, tosto che ebbi la dolorosa novella della vostra sentenza, cominciai partitamente ad essaminar la sua vita, né potei cosa trovare in lui over peccato che fusse del vostro gastigo meritevole. Ma, comunque si stia il fatto, a voi piacque di voler lui far morire. E, si come fu il timore dello sdegno vostro dentro di me vinto dallo ardente amore ch’io a Timocare ho portato e porto, allorach’io m’ingegnai con inganno dalla morie camparlo; cosi ora è quello dal medesimo superato, trovandomi al vostro cospetto e nelle vostre forze ristretta: conciosiacosach’io piú contenta mi trovi di avere al mio marito liberata la vita con pericolo della mia, che, col salvarla a me, non aver fatto prova ch’egli potesse fuggire. Eccomi adunque invece di lui nelle vostre mani, o signore: e, se la innocenza mia. l’afflizione, le lagrime non desteranno in voi qualche pietá che a perdonarmi vi conduca, muovavi almeno la umanitá a considerare che questo fallo (se fallo si dee stimare che sta il salvare da sovrastante pericolo le cose sue) non è di me, ma del soverchio amore al mio marito portato, il quale si altamente aveva nel mio core messo radici, che d’indi non mai lo avrei potuto svellere. E, si come non è mio il fallo, non deggio per quello che io non cornisi, alcuna pena portare Dell’amore non prenderete voi castigo, non potendo le passioni dell’animo soggiacere ad alcuna esterna forza. Però mi conforta una speranza: che, non avendo voi onde giustamente possiate rivolger l’ira, e conoscendo ancora che non è convenevole me dello errore altrui gastigare, acqueterete, come giusto prencipe, l’impetuoso movimento dello sdegno vostro, si che affatto ne doverò libera andare. — Cotali furono le parole della dolente Arsinoe: le quali tanto poterono nell’animo di Nicocle adoperare, che, quantunque esso fusse