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AVENIMENTO XXXI


Ippone, tiranno di Messina, insieme coi figliuoli è ucciso da’ congiurati. La nudrice, per salvar la figliuola, espone la sua alla morte. Ella si discovre; e, similmente uccisa, ambe vengono seppellite in una medesima sepoltura.

Naturai cosa è, generosi signori, che nell’operare le cose grandi vi sia di mestieri d’avere una grande virtú, accioché tra l’operante e la opera vi sia giusta e debita proporzione: e, si come a sostenere un gran peso materiale egli ci fa bisogno di avere forze bastevoli a quello e possenti, cosi parimente negli atti illustri e che trappassano l’ordinario delle cose umane vi si richiede, come cagione operatrice, una singolare e possente virtú, donde quegli atti, come dal loro natio fonte, derivano. E, quando questo ordine falla, cioè che veggiamo in deboli soggetti e che meno di forza abbiano degli altri qualche atto grande, egli non è dubbio che ci porge di non picciola maraviglia cagione. E, se cosi è, di qua viene che noi il piú delle volte, udendo raccontare qualche virtuoso e raro atto di donna, molto piú ammirazione pigliamo di quello che faremmo, se cotale atto, non in donna, ma in uomo si vedesse apparire. E con ragione invero ammirare si devono le gran virtú, che in valorose donne si scorgono; percioché senza alcun (allo quelle la natura produsse molto dilicate e deboli non solo di corpo, ma di animo ancora, ed esse alla vera perfezione non arrivano. Sono le donne delle forze del corpo deboli, delle carni tenere e dilicate, e meno atte degli uomini a sostenere: oltre di ciò, pusillanimi, mobili, sospettose e senza previdenza, né per sé regger si sanno. Per la qual cosa si vede che sono molto soggette al mancamento, e nel piú di loro, dove il bisogno è maggiore, la ragione vien meno. Adunque il narrare, fuori del naturai corso, alcun fatto notabile e virtuoso di donne, par che sia pur materia degna da essere ascoltata; poiché, narrando quello, ci è per empire d una certa nuova maraviglia, e noi naturalmente non ci maravigliamo

G. Para bosco, Opere varie.

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