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AVENIMENTO XXVIII


Tito Giubelio capovano, mosso dalla crudeltá che Fulvio Fiacco aveva a’ suoi cittadini usata, in presenza di lui la moglie, i figliuoli e se stesso uccide.

Essendo messer Ercole di parlare restato, commendata da ciascuno la fortezza e il valore di Polidamante, e il generoso animo di quello dalle gravi parole compreso, riposandosene giá il ragionare de’ giovani, messer Fabio, voltatosi a messer Fulvio, gli comandò che procedesse. 11 quale rispose che volentieri, e cominciò:

Umanissimi signori, quanta fosse la virtú di Polidamante poco fa si è da voi considerato abastanza, comeché dalle bellissime parole di lui verso i suoi soldati, nell’ultimo termine dette della sua vita, facilmente si possa conoscere e averne il saggio; coneiosiaché si vegga Polidamante avere il medesimo animo e valore nella morte serbato, che in vita contra i nimici virilmente combattendo mostrava: chiaro argomento d’una vera fortezza che albergava in lui. Ma, poiché cosi bella materia oggi, per quanto io veggio, da ragionare si è presa, io dal canto mio non intendo con altra nuova d’interromperla; anzi, le vestigia di chi ha ragionato fin qui seguitando, m’apparecchio di narrarvi quello che mi si volge per la memoria, e cioè una grande e maravigliosa costanza con una magnanimitá parimente, che dimostrò ad una occasione un capovano.

Trovasi nelle istorie scritto che, essendosi ribellata Capova da’ romani, Fulvio Fiacco, consolo e capitano a quel tempo, condannò per cagion di ribellione a morte tutti i principali di quella cittá. Laonde, avendo egli nelle persone di costoro usata una grande e rigida crudeltá, e nel castello di Calvi, con istupore e maraviglia di ognuno, sparso di capovani, senza moversi ad alcuna pietá, molto sangue, fu cagione che, essendosi la sua crudeltá a Roma rapportata, il senato mandò subito a Fulvio lettere, che gli commettevano ch’egli non dovesse piú oltre contra i condannati procedere. Il che avendo uno di quei principali

G. Parabosco, Opere varie.

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