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AVENIMENTO XXIII


Tito Considio, intendendo che ’l figliuolo lo voleva fare uccidere, conduttolo in un luogo solitario, gli dá in mano un coltello perchè l’uccida: egli, ritirato da paterna pietá, si rimane dalla scelerata voglia e ottiene perdono.

Poiché il ragionamento di messer Fabio ebbe fine, messer Ercole impose a messer Muzio che seguitando dicesse. Il quale, d’ubidire disideroso, cosi diede principio:

La pietá, secondo ch’io credo, stimar si deve di tutte le virtú il fondamento; e colui, che da questo naturale affetto non è mosso, non si deve aspettare che da altra qualsivoglia forza sospinto sia. Percioché, se l’autoritá e la pietá paterna, la miseria, le lagrime, gli onesti prieghi, la vecchiezza e la sovrastante rovina della patria, non avessero l’ostinata gravezza giú posta e il duro proponimento piegato di Alardo, onde egli avesse poi la scelerata impresa lasciata e la malvagitá del suo animo a qualche parte di umanitá rivocata, meno sperare si doveva che le minacce o le sommissioni del re, overo altra qual che si sia maggior forza fosse stata possente di addolcire il suo sdegno o di rimoverlo da si crudo pensiero. È adunque senza dubbio la pietá virtú divina. Per la qual cosa da quella di costui io son tirato a dirne un’altra ancora, la quale rappresenta una nuova e rara temperanza di un padre verso il suo figliuolo e una grandissima tenerezza di un figliuolo verso il padre.

Scrivono le antiche istorie che un certo Tito Considio romano, uomo plebeo, il nome di cui fu ad alcuni altri istorici nascoso, ebbe a’ suoi tempi un figliuolo di corrotti e vituperevoli costumi. Il quale, menando di giorno in giorno una lorda e viziosa v : ta, e parendo a lui, per avere il padre vivo, che non gli potesse, cosi come il suo appetito chiedea, venir fatto di adempire a pieno in ogni cosa le disoneste e giovenili sue voglie, senza che dal padre quanto gli era a grado vietato gli fosse, fu da