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■di questa cittá per la sua nobiltá e bellezza si dice essere stata infra gli iddíi contesa; la quale è di tanta antichitá, che si stima che la cittá medesima abbia i suoi cittadini generato, e che essa loro sia stata il natio terreno, la nutrice e la patria? Non sai ch’ella è di tanta e tale autoritá, che lo infermo e indebolito nome di tutta la Grecia è dalla gloria e dalle lodi sostenuto di quella? Non dèi adunque cosi dolerti o lamentarti ch’io per la salute de’ cittadini nostri, eli’è cosa pietosa, e per l’onor della patria, eli’è mio debito e dee essere mia sollecitudine, provegga al mancamento della cittá. Percioché alla patria il sangue e la vita siam debitori, e di porre a suo beneficio la robba non dobbiamo contendere. — Cotali furono di Cimone verso il figliuolo le parole, con le quali il giá concetto sdegno di lui s’ingegnò d’acquetare. Laonde di Cimone il commissario si parti; e, essendo egli in Atene giunto, né scorgendo provisione alcuna che quel magistrato facesse di mandare i danari a Cimone, fece subito seguire lo effetto al commandamento del suo signore, e, per lo bisogno che stringeva e per ispedirsi tosto, gli convenne quella casa vendere, che valeva un gran prezzo, per poco. Onde, tostamente ritornato con la somma dei danari a Cimone, fu cagione ch’egli si disubligò incontanente del debito. Assegnata adunque Cimone quella quantitá di danari, in che convenuto s’era, al capitano dei nimici, e avendo perciò i cittadini prigioni riscattati, se ne tornò insieme con quelli glorioso alla patria. Certo, se noi avremo alla somma riguardo, vederemo che non fu molta; ma, se si porrá mente alla intenzione e all’animo di Cimone, scorgersi la somma da tanta liberalitá, per salvare l’onor della patria, sovra tutte l’altre fatta grandissima.