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Tornami nella memoria ch’io sentii una fiata ragionare che, quando Giovanni Vaivoda era re d’Ungheria, egli ebbe un suo cameriere, al quale tutte le sue piú care e secrete cose fidava. E, perché questi avea del tutto il maneggio, lo vide un giorno da un pertugio d’un tavolato, che egli era in una picciola stanza dove le sue cose si guardavano, e quivi, aperto il cameriere uno arinaio, ne toglieva uno anello di valore grandissimo, il quale, per essere stato dono della mogliera, al re sovra tutto era carissimo. Ora pensò il re, vedendo cosi pigliar di nascosto dal cameriere lo anello, che ei lo volesse mostrare a qualche donna overo ad alcuno amico suo, onde si stette cheto e l’ebbe caro. Ma, poiché furono molti giorni {lassati, ricordandosi il re dello anello, andò egli stesso allo armaio a vedere se per aventura vi fusse dal cameriere stato riposto; né trovandolo, si tacque. Poscia la sera, spogliandosi, disse al cameriere che il di seguente egli intendea di porsi in dito quello anello e che, se pur di richiederlo si dimenticasse, esso glielo ricordasse e glielo desse. Passato quel giorno e altro, il cameriere non ricordava al re, né dava Io anello altrimenti ; per che da capo il re a lui disse il medesimo, nè se ne fece altro. Lo ridisse la terza volta anzi turbato che no, né perciò punto di piú si moveva il cameriere. Laonde una mattina il re soghignando gli disse: — Va’ ora ch’io me lo ricordo, e portami lo anello. — Per che, andando il cameriere allo armaio, ivi a poco spazio tornò tutto pauroso e smarrito, e disse che l’anello non vi era, e che Sua Maestá si ricordasse bene se per adietro lo aveva pigliato. Rispondendogli il re che no, finse di ritornar a cercare meglio; e, il tutto sottosopra vólto, alla fine si risolvette a dire che niuno lo poteva aver rubato se non un dipintore che in que’ giorni quella picciola stanza avea dipinto. E, avvertendolo il re a non calunniar alcuno senza sapere il come, egli pur affermava che il dipintore lo aveva avuto del certo. Per la qual cosa, di consentimento del re, il cameriere fece prendere il dipintore e imprigionarlo, e, favorevolmente operando, gli fece dare de’ tormenti. Onde fu costretto per quelli il meschino a dire di averlo avuto, e ne fu condennato alla morte, percioché egli diceva di averlo