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venendomi in disiderio di servirvi, non ho voluto schifare di dimostrarmi al vostro cospetto e scoprirvi lo intento mio, accioché questo luogo, questa illustrissima corte e la vostra liberalitá pietosa, la quale è solita di sovvenire a’ miseri, abbia finalmente da essere alla mia travagliata fortuna tranquillissimo porto e rifugio. Percioché dee ciaschedun uomo aver memoria che, si come non si suole tanto alcuna cosa bramare quanto una prospera, lieta e perpetua fortuna e di menare senza essere offeso tranquillamente il corso della vita sua, cosi non essere altra pietá a questa uguale di sollevare un uomo dalle ingiurie della fortuna, e maggiormente colui, il quale da lei benigna e abbondevole sia stato ricevuto nel mondo, e poscia da quella istessa fieramente percosso e nel fondo d’ogni miseria precipitato. E, se veramente uomo alcuno puote essere testimonio degli esaltamenti non istabili, degli straboccamenti contrari della fortuna, e manifesto essempio delle percosse con cui suole essa lacerare i mortali, io son desso, e ni uno a paro di me ne può dare contezza; percioché io so come sia la fortuna mobile, come fragile il suo favore, come sia ella ispaventevole nimica di ciascun felice, quanto sia indiscreto il suo consiglio, che ad un tempo alcuno esalta, ad un altro lo deprime. Io con esperienza conosco la sua fallace natura, e come le sue disiderate larghezze sovra un leggier momento di tempo, spesse volte, e una temeraria inclinazione pendono. E, perch’io mi veggio essere in una piú dura condizione della fortuna delle communi, in che sogliono gli altri uomini ritrovarsi, non riceve consolazione il mio dolore. E, se mi fusse opposto da alcuno ch’io sia di troppo infermo animo, io gli addimanderei qual sorte di mal si trova che nella mia calamitá non sia, e qual uomo da si felice stato e da tanti beni della fortuna cadde. Posso io scordarmi quale sia stato e quale io sia? di che onore, di che ricchezze e di che fortuna manchevole? Nondimeno, se alcuno umano conforto si può ritrovare, il quale sia possente di mandare in oblio la mia estrema fortuna, dovendo io a Vostra Maestá far servitú, se in quella fedelmente adoperandomi conoscerò di esserle a qualche tempo grato, io, non isdegnando la viltá della servii condizione, mi persuaderò di