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promesso) dal suo ragionamento questa conchiusione si è tratta: che amore ogni nostro atto a buono e felice fine dirizza, e che esso per sé, quando il guida regolato appetito, non è di alcun male cagione, ma di tutti i beni; i quali se noi a sofiícienza discorrere volessimo, la presente giornata non ci basterebbe per certo. Ma se per mezo di amore trasse Filene Erasto di povero e basso stato, in ricco e felice ponendolo; e se essa parimente, quantunque dimorasse nel circuito d’un palagio ristretta, convenne le costui forze sentire: io allo ’ncontro nel mio ragionare intendo di dimostrarvi i grandi e inaravigliosi effetti che riuscire si veggono da quella pazzia d’amore che «furore» si chiama, il quale, adombrando gli occhi dell’intelletto nell’uomo e accecandolo del lume della ragione, rende quello poco dissimile dagli animali bruti. Il che m’apparecchio di farvi aperto nell’avenimento che per narrarvi io sono; ove vederassi a quale stato miserabile fosse condotto un saggio e valoroso re, il quale, soggiogato dalle forze di amore, si fattamente perdé il senno, che altro di re non gli restò fuori che ’l nome. Da che vederete come esso re, essendo vinto da concupiscevole appetito, non curò di perdere, per sodisfare a quello, il suo onore e la fama.

Sono alcuni anni che io, ritrovandomi in Francia e ricercando le cose notabili di quella provincia, avendo in Aquisgrana, cittá posta ai confini della Gheldria, veduta la regai sedia di Carlo di Pipino figliuolo, il quale per le egregie e illustri opere da lui fatte ebbe il titolo di «magno», ed essendomi appresso in un certo tempio marmoreo mostrato il sepolcro di cosi gran prencipe, da certi sacerdoti di esso tempio mi fu narrata una istoria, la quale al presente mi è venuto in animo di raccontarvi. Di cui io non cercherò giá, come di cosa vera, appo voi d’acquistar fede, quantunque da degni autori si ritrovi scritta, ma lascerò a cadauno di voi tenerla o per istoria o per novella overo per favola.

Scrivesi adunque che il re Carlo, il quale i francesi col cognome di «magno» agguagliano a Pompeo e ad Alessandro, nel regno suo ferventemente s’innamorò d’una giovane, la quale,

G. Parabosco, Opere varie.

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